mercoledì 23 ottobre 2024

CHI TROVA UN FALSARIO..TROVA UN TESORO (5)

CAPITOLO 5 - Nella Vecchia Vineria ia ia oh!


Giunti innanzi a tal fatiscente struttura a due piani, la magia svanì e quel tenace e rivelatore colore ricomparve sul lor compagno.
Qual malefico intruglio era così indelebile? E come si toglieva?
Un alchemista o un cerusico necessitava? O persin 'no cuoco o 'na sguattera esperta de pulizie e mondar le macchie?
Soluzione estrema fu bruciar li peli, e il misero Pacioso si ritrovò senza pelliccia, come un pollastro pronto a cottura, parodia rosacea di glabro gatto lupesco alopecioso.
A peggiorar le cose, ironico contrappasso, Comare Inese gli donò il mantellin di pelle di sorcio trovato nell'avventura precedente a Roccasecca.

Con la colonna sonora dei lamenti affranti del compagno, entraron cauti nella ampia struttura, in attesa del palesarsi del Bragallo.
Batteron lo stabile di stanza in stanza, tra detriti e ciarpame, per cavar qualcosa di utile..invero sol qualche ramino e uno strano intruglio, poi trovaron scale che buie chinavan nelle cantine.

Illuminate le volte pietrose con prodigiosa luce, scorsero segni e tracce di presenza umana, macchie di sangue e persin un dente.
Era un loco di segreti pestaggi?
E di chi? Birri? O Tagliagole?
Assi scricchiolanti sulle loro crape annunciaron loro presenza estranea.
Si acquattaron come scarrafoni che scoperti in fallo cercan fessura, in attesa.
Passi dalle scale.
Tensione crescente, come il ritornar di certi spiedini del mercato.
Poi una voce dall'accento criminese
"Sòcc'mel! mo dove vi siete infilati? Ranzate via da li che v'han venduti! Arriva EquiTaglia!"
Lo Straniero, strano tizio, magro, alto, e incappucciato si accompagnava a malconcio spadone che aveva tante tacche da andar in tanti tocchi al prio colpo e quel poco che si vedeva dello volto era pien di sfregi come leggere ustioni.
Li avea seguiti da tempo, perchè anch'egli in cerca dello falsario volturniese.
Ed era giunto appena in tempo, perchè i cacciatori di EquiTaglia, avvisati sicuramente dal gran bastardo del mercante, erano pronti a circondar l'edificio in un abbraccio inesorabile.

Ogni lor malefatta annotata.
Ogni lor guaio conosciuto.
Ogni lor reato pronto a chieder conto.
Tagliar la corda diventava imperativo assoluto, prima di tante altre domande sul misterioso straniero.
"Sòcc'mel! Ci lasciam la ghirba tutti! via da qui!...Fuggite, sciocchi!"

CHI TROVA UN FALSARIO..TROVA UN TESORO (4)

CAPITOLO 4 - Piazze, piazzisti e piazzate

Il velo scuro della notte era calato sulla Laida Baffona, e uno sghembo gruppo de individui fissava il Panzamolla riprender facoltà mentali, per quanto poche quel mezzo morgante potesse averne.
Quando prese a favellar, ammise di non conoscer Ugo da Volturnia, ma ricordava che Bragallo settimane prima era in compagnia di un volturniese dai buffi baffi.
Tal Bragallo era proprio il contatto di Ugo a Novi Lugubre, ed erano dunque sulla strada giusta.
Panzamolla consigliò, per trovarlo, di chieder al mercato a tal losco mercante Procopio di Bassalanga.

Gerundo intanto, infoiato, fece ratto della malcapitata cameriera Fernanda e i compagni dovetter provvedere a finir lo servizio e le pulizie alla Locanda, ma almeno ebber sconto dall'Oste.

Al mattino eran pronti per proseguire le ricerche, ristorati nel sonno senza lo russar del Gerundo, e colmi delle novelle raccolte in locanda.
Oltre alle indicazioni di cercar al mercato, avean sentito di viandanti che riferivano di colonne di fumo a est, e di monete false trovate in giro...monete con l'effige della famiglia Cobram, monete di Roccasecca: segno certo dello passaggio dell'infingardo Ugo.
C'era voce anche di un lavoretto per abile scassinatore richiesto da un misterioso patrono.
Tal lavoro si potea approfondir alle stalle vicino al mercato. Anche se la parola "serratura" sapean a malapena pronunziarla, ma forse si aspettavan di forzar qualche uscio.

La piazza del Mercato di Piazzetta di Fangopiano era già un brulicar di tutta quell'umanità umile e verace di Novi Lugubre.
Piazzisti di merci improbabili e scadenti, verdurai, vasai, bancarelle di cibi di dubbio gusto e igiene, zappe, utensili, cestini e cordame, accattoni e truffatori.
Mentre si aprivan strada tra la folla verso la bancarelle, notaron loschi figuri armati, come fosser birri che nascondon (malamente) identità, che scortavan esile figura ammantata verso le stalle.
Ma non era affar loro.

Lo gruppo puntò dritto verso un pelato, sicuri di aver individuato mercante nomato Procopio.
Dopo aver mercanteggiato per valutar l'homo, Dottor Pio azzardò l'uso di fandonia per stregarlo e renderlo amico, ma truffar 'no truffatore è come cornificar 'na meretrice: inutile.

Si inalbera allor lo Procopio e minaccia di richiamar Birri e Guardie, Gerundio fa per agguantarlo per la collottola ma Inese e Pacioso si offron subito di comprar i suoi intrugli a prezzi orsù maggiorati.
Non c'è come conio che calma gli animi, specie i più abietti e avidi, e riportata la situazione alla civiltà, Procopio, all'inizio un po' stupito che cerchino Bragallo, ammette di saper di lui, e che può organizzar incontro riservato.
Dovran trovarsi alla vineria abbandonata nel margine sud del quartier basso.

C'era tempo dilapidar dunque nell'attesa, e la curiosità portò i quattro verso le stalle, per veder dov'eran finiti quegli strani birri camuffati.
Stalle vuote disser chiare: i birri sono iti. Resta tama e afror di bestia.
Uno servitor però, che spalava paglia e letame, chiese loro se eran li per lo lavoretto.
Lavoretto?
"Aahh..per quello delle porte?" chieser allo sdentato fattore.
"Porte, niuno abbisogna di aprir porte" perplessa replica giunse
"ma si..nun cercano uno per aprì 'na porta?" replicò Inese
"Non saccio di porte..ma si, cercan scassinator e grassator assai abile"
Nessun dei quattro, tra loro talenti, se di talenti si può parlare per tal marmaglia, avea idea di come violar serrature.
Ma per qualche gransoldo il mestier si impara in fretta e Pacioso carpe diem e gettò candidamente candidatura a tal eroica impresa.
In fondo le abili dita del burattinaio eran solerti e leste nell'usar pupazzi e burattini, che differenza potea far maneggiar piccoli arnesi atti allo scasso?

Passò poco dalla candidatura, che uno di quei birri ammantati, dalla faccia squadrata e minacciosa, prese e condusse seco ad abitazione perimetral allo mercato.
Dentro, gli altri tre a braccia conserte lo studiano scettici: l'impaurito gatto lupesco non ha l'aria di Mastro Supremo Scassinatore.
"Sono qui per la porta" ripete incerto.
"Ma quale porta, è ben altro che si chiede si scassinar..." ridacchiano i tipacci, e lo sbatton al pian di sopra.
Sul letto, una donna coperta da una cappa a serbarne l'identità lo attende ansiosa.
Voce e movenze non son da basso volgo mentre si alza e lascia cader lo straccio, rivelando abiti succinti e inesistenti.
La contessina Lorda Virginea da Malespine. Figlia diletta del Conte di Novi Lugubre.
Ohi ohi, Pacioso inghiotte fardello subodorando guai e cappio imminente.
La donna impudente scosta mutandona e mostra machiavellica e prodigiosa cintura di castidade.
Ecco svelato lo arcano.
Ecco svelato l'equivoco.
Ecco svelata lo novo guaio.
La povera Virginea, che a parer di Pacioso di virgineo deve aver giusto ormai lo nome, ha bisogno di liberarsi di tal impedimento per continuare a divertirsi coi suoi amanti.
Cosa di cui dubita l'arcigno padre Brenno da Malespine sia d'accordo, avendo apposto siffatto sigillo.
Di fronte alla nobiltà di famiglie cos' bizzose, Pacioso lo sa, non c'è spazio per fallimento.

Lorda Virginea lasciò cader le terga sulla branda e teatralmente aprì le eburnee cosce a favorir lavoro.
Sudor colava tra la pelliccia da gatto lupesco mentre con le piccole armi dei suoi burattini, usate a guisa di grimaldelli, allungava le zampe verso le blasonate pudenda.
In ballo v'eran 10 Gransoldi, e forse pur la vita del Pacioso.
Da fuori, i tre compagni, guardavan la guardia e la casa, chiedendosi che combina lo gatto, e poi sedettero a gustar spuntini locali.
Tlak..tlik..clic... San Culone patron dei fortunati parve assister l'audacia del burattinaio e la prima grossa serratura cedette.
Clik..clak..trak!!! 
La seconda serratura, sospetta e circondata da strano marchingegno, esplose rilasciando sbuffo di vernice rosa forforescente che imbrattò Pacioso da capo a piedi.
La nobildonna urlò sconcertata, semper più dubbiosa sulle abilità del cialtrone, ma lesto lui riprese a smanettar sulla terza serratura.
Peggio di prima: ruppe l'attrezzo e fece saettar ago velenoso e infido.
L'anticorpi del gatto,forse temprati dalla birra di Frate Schrodingo, si fan beffe di tal tossina.
Pacioso passò dunque alle maniere forti e coi poteri dei suoi burattini spaccò disperato l'infernal chiusura.
Restava quella esplosa di colore.

In piazza, nelli medesimi istanti, folla si zittì intimorita all'inceder truce e al palesarsi di pavesati lancieri armati, fasciati nell'araldica di Novi, guidati dal famigerato e temuto Acuto da Malespine, il figlio (bastardo, dicon malelingue) del Conte nonchè siniscalco cittadino e Mano ufficiale del padre nelle faccende spiccie.
Tutte le canaglie in piazza drizzaron peli fiutando guai, compresi i tre compagni di Pacioso.
Lo sguardo acuto di Acuto penetrava ovunque in cerca di chissà cosa, ed eccolo la, fermarsi sul birro travisato dalla porta.
L'uomo conosce i suoi homini, e l'imbarazzo tradisce il guardiano.
Lesti, soldati e siniscalco puntaron verso la porta.
Il birro fa una bussata in codice ad avvertir camerati.

Si dirà che ci sono momenti, nella vita, dove il tempismo è tutto.
Intervenir nel momento giusto può salvar la ghirba ad un fratello.
Intervenir nel momento giusto può regalar quell'attimo che la fa sfangare.
Momenti in cui il giusto fa la cosa giusta.
Momenti in cui nessuno può star seduto a guardare.
Ci sono momenti nella vita da non lasciar passare...
Ma gli spiedini eran boni, lo sidro pure, e i compagni ignari se il Pacioso si stesse divertendo o meno. 
Quel momento dunque passò.
In fondo..birri contro birri, quando mai ricapitava? Spassoso.
Nella casa gli altri birri terrorizzati avvisaron la contessina che nello spavento chiuse le regali cosce sullo cranio gattesco con un tonfo sordo.
"non c'è tempo, Contessina!" intimò lo guardiaspalle.
Tenacia però guidò la donna a ricomporsi e a imporre imperiosa al Pacioso di far l'ultimo tentativo.
Disperazione e buona sorte aiutaron il disperato cialtrone dall'indelebile tonalità rosa e anche la terza serratura cedette.
Con un bacio e una sacchetta di gransoldi, Lorda Virginea in quella livrea poco regal e più da baldracca, con pudenda al vento si congedò e corse via sui tetti coi suoi birri.
Proprio nel medesimo istante Acuto fece irruzion mettendo a ferro e fuoco l'appartamento, ancor più inferocito quando notò le macchie rosa che denunziavan la violazione dell'inviolabile.
Ogni gradino salito da Acuto è un passo verso il cappio.
Ogni passo verso il nascondiglio è un colpo al cuore.
Se lo scopron è cappio certo
Se non lo scopron ma poi lo vedon tinto di colpevol colore, uguale.
E se non è cappio, lo spellano. O lo lapidano.
La tensione è tale da poterla segar col fil come polenta taragna.
Pacioso nascosto in cassapanca pregò diversi santi, da San Ciecato che non lo vedessero, a San Fuggenzio o San Culone, fino ad aver intuizione di crear suono illusorio a depistar quello sciame di aguzzini, poi si gettò dalla finestra fin nella piazza, proprio di fronte agli imperturbabili compagni.
Sol il Dottor Pio, vedendo l'inusual color troppo spiccante, capì subito che era meglio coprirlo e con piccolo trucchetto magico mutò la pelliccia di Pacioso.
Per consolarsi lui contò i gransoldi, oro vero, nella piccola sacca di cuoio:
1,2,3,4... 8...OTTO? Quella gran nobiliar baldracca!

Era meglio portar via gli zebedei da quella piazza or troppo attenzionata dalle guardie, e finire nelle ire del crudele Acuto era cosa da evitar assai.
Come se niente fosse caracollaron tranquilli e senza destar sospetti in cerca della vineria abbandonata.
Ivi, la speme era di trovar finalmente traccia concreta e notizie certe.
Nonché incontrar sto maledetto Bragallo Senzaterra.

mercoledì 16 ottobre 2024

CHI TROVA UN FALSARIO..TROVA UN TESORO (3)

CAPITOLO 3 - "Botte" a Novi Lugubre

Novi Lugubre, sinistra nomea e ampio feudo del Basso Falcamonte.

Molti degli abitanti preferiscono considerarsi persin della Quinotaria vista le poche leghe dallo confin.
Governata col pugno di ferro dal Conte Brenno di Malespine, tramite il Siniscalco nonché figlio Acuto di Malespine, e la sua emanazione a capo dei birri locali: Capitano Fosco de'Malanni.

Ma lo panorama ecclesiale non era da meno, con la presenza del Cardinal Scateno Santerzi Crudenzi III, noto per posizioni estreme nei confronti di razze non-umane, fandonia e arcanismi vari, nonchè amante di roghi per dilettar lo volgo.

Ed era li, di fronte a loro, quando arrivarono verso sera, avvolta da nubi basse pronte a divenir nebbia che piscia, con le sua mura, pronta a chiudersi su di loro con la sua inospitalità.

Mancava poco allo rintocco di campana che sanciva la chiusura dei cancelli e allo porton meridionale c'eran disordini tra contadini e pezzenti vari respinti dalle guardie.
Per evitar parassiti e malattie e promiscuità (che comunque non mancavan) si pagava 1 ramino per ogni animale che si voleva condurre dentro le mura, così da limitar lo numero.
E le guardie volean far pagar 1 ramino per lo mulo, ma anche per l'offeso Pacioso.
Sol dopo lunga supercazzola e discussion le zelanti guardie furon convinte che Pacioso era hominide, tanto che lo gatto lupesco fu spacciato persin per uno sfortunato infante colpito da raro malanno ipertricotico.

La sera giungeva insieme alla pioggerella fine ma disturbante come scoiattolo nei maroni, e si affrettaron a trovar loco atto a svernar la notte e riempir le panze.
Tal loco si manifestò loro qualche isolato dopo nelle fattezze di una imponente bettolaccia a due piani titolata "Taverna della Laida Baffona"
Lo puzzo e rumore umano accolsero i viandanti, insieme a Berto il Mai Asciutto, oste e titolare che deluse chi si aspettava una padrona baffuta, retaggio invece di precedenti proprietà.

Certi postriboli eran da sempre terreno fertile non sol per lo appetito delle canaglie, ma per trovar notizie e informazioni, ma il Berto non sbottonò confidenza sull'aver visto Ugo da Volturnia.
Certo è che lo terribile ritratto a carboncino non aiutava molto.
L'Oste però sussurrò di provar a cercare l'indomani al mercatino li vicino.

Mentre Gerundo era perso nel corteggiar l'attempata cameriera Fernanda, entraron tre buzzurri nerboruti dal pesante accento dell'Alazia, di Porto Patacca per amor di precisione.
Come a tornar ragazza, Inese si sentì a casa con quei grevi accenti e si ridestò dai propri pensieri di zitellaggine riconoscendo un dei tre: Baffo, detto il Califfo.

Li marcantoni allestiron per sprecar pecunia al noto gioco "Botte alla Botte", e Gerundo non si tirò indietro puntando da par suo monete equivalenti.
Scolaron diversi boccali di birra, come regolamento impone, e avrebber tirato tanti colpi dal manufatto quanti boccali avean bevuto.
Cominciò Panzamolla, gigantesco barbaro dell'entroterra alaziese, visibilmente piegato dall'alcool, poi Baffo e Gerundo, e infin lo terzo alaziese: Du Boccali


Manate e papagni si alternavan colpendo la robusta botte, rinforzata segretamente dall'Oste perché se alla fin non si derosciava, la posta andava tutta a lui.
Gerundo, basso più della botte, ma forte quasi come il Panzamolla, andò invece a menar di nocche con inusitata violenza spandendo monete e schegge di legno nella fumosa locanda.
Fortuna per tutti, i tre poco di buono, per quanto teste di prepuzio, eran sportivi e si unirono molestamente allo tavolo dei nostri a festeggiar e bere per la gara.

Lo Dottor Pio provò a buttar li qualche domanda per sondar lo terreno sull'Ugo e il contatto Bragallo, e forse proprio Panzamolla sapea qualcosa.
Se sono non fosse stato sbronzo.
Ma in fondo c'eran sempre li Santi. E a San Crispino si affidò la santa donna Inese per depurar lo bruto e far tornar lui favella.
Cosa avrebbe rivelato?


CHI TROVA UN FALSARIO..TROVA UN TESORO (2)

CAPITOLO 2 - Deviazioni, deviati e processioni.

La strada de fanga secca proseguiva verso il Ponte della Masca, ma prima di arrivare a tale mirabilia dell'epoca Draconiana il gruppo incontrò uno bivio.

Un misero cartello di legno indicava la direzione della strada maestra verso lo ponte tramite un infantile disegno stilizzato, visto che una scritta sarebbe stata utile a pochi in quelle campagne intrise di ignoranza e analfabetismo.

La cosa preoccupante però furono le tracce: numerose impronte, ordinate e in fila, di parecchie persone. Il tutto condito qua e la da qualche macchiolina di sangue.
Un gruppo di banditi o sbandati non avrebbe lasciato tali segni così ordinati e allineati.
Si trattava di un gruppo militare o comunque addestrato, forse un'orda sanguinaria con ancora le armi grondanti sangue?

Nel dubbio, anche se la direzione da seguire e la stessa, le canaglie presero la via opposta: quella dalla quale le impronte provenivano.
Non c'era alcun cartello ma Pacioso sosteneva che verso nord dovesse trovarsi una Abbazia, e Gerundo attirato come falena presso lumen, già sognava di gozzovigliar a sbaffo li manicaretti genuini.
Ahimè per lui, trovarono l'Abbazia fortificata ben protetta da passaggio levatoio ben chiuso.
Lo Monastero di San Gagliaudo sorgeva infatti ben protetto, rifugio e ritrovo di devoti alli Santi più disparati e diversi
Piangendo commiserazione e usando biechi trucchi riuscirono a convincer l'anziano Frate Stobeo ad aprir lo varco, stipulando patto alquanto bizzarro.
Affittavano la felina grazia di Pacioso alli monaci per ciapare li rat nelle cantine, in cambio di ospitalità e desco.
Ma lo povero gatto lupesco, poco convinto di tal laboro, fu coinvolto anche in strambo esperimento da monaco di origini altomanne, tal Padre Schrodingo.
Di tutto questo erano ignari i compari, intenti a gozzovigliar tanto che lo Gerundo quasi trapassò all'inferno dallo tanto mangiar in uno scoppiar di budelli.
E mentre tale abbietto individuo defecava nel torrente, e Comare Inese si prostrava in preghiera nella Cappella innanzi al Chiostro, il Dottor Pio scendeva nelle anguste segrete per recuperar lo gattesco compagno chiuso nella cantina.
Raggiante, lo frate Schrodingo rivelò che Pacioso era stato rinchiuso nella cantina e la birra era avvelenata.
Era stato indotto in peccato di furteria e l'aveva bevuta?
Era morto?
Era vivo?
Finché cantina non fosse stata aperta, secondo lo Frate, Pacioso era in una prodigiosa condizione: era sia morto che vivo!
In realtà Pacioso, seppur di malavoglia, avea fatto ratto di ben otto ratti.
E invero persin assaggiato la birra, ben poca perché la trovò ben grama.
E questo, oltre la sua costituzione (o al fatto che avea sette vite?) lo salvò dal veleno

Pacioso era vivo.
Padre Schrodingo un po' deluso, e Fra Stobeo contento per la derattizzazione.
Nel chiostro, Comare Inese risanò Gerundo con preghiera alli Santi, e il gruppo riuscì a riprendere la strada maestra.
Ora avevano capito di aver equivocato le tracce: non marzial formazione mercenaria, ma processione di pii monaci partiti dall'Abbazia e diretti oltre il ponte come loro.
Dipartiron dallo monastero per tornar sulla retta via della missione affidata.

Senza più tema e timor di spiacevoli incontri procedetter veloci (per quanto consentito dal vecchissimo e cocciuto mulo Juanin).
Anche la processione, nel suo lento incedere, fece tappa presso cippo votivo, perdendo terreno, e fu raggiunta.
Si trattava dei famigerati Flagellanti di San Mazziato. Smunti monaci che flagellan la propria schiena e deretano salmodiando odi allo Santo, mondandosi da peccati e tentazioni con dolore e mortificazion della carne.
Uno spettacolo da lasciar perplessi.
Li monaci però vider gli avventurieri appresso e le lor armi (forse bramando qualche mazzata?) e lieti dell'incontro chieser loro di far da scorta all'inceder processionario in modo da protegger dalli mali e soprattutto dalli banditi et lestofanti eventuali lungo la via.
Non soldo e pecunia, ma santa benedizione era la loro unica merce di scambio.
Poco apprezzata invero.
Giunsero così allo Ponte della Masca, che permetteva di superare le bizzose acque del fiume Bromida poco dopo che vi affluiva lo torrente Schifia.
Nella bruma dello meriggio, secche figure umane si stagliavan dall'altro lato di quel loco nebbioso: la Ghenga del Guercio.
Il Guercio in carne et ossa andò incontro garantendo sicurezza di varcar il confine tra i feudi, in cambio di moneta.
Un pedaggio abusivo. Un abuso pedante.
Falsa cortesia mascarata in guisa di minaccia.
"Ecco...ecco li sordi, mo te pagamo.." Si avvicinò Comare Inese rovistando in bisaccia in atto di pagar pegno.
Non fu moneta che estrasse però.
Bensì insidioso e ruvido mattarello di legno, che appunto legnò, rapido e inaspettato sul cranio dello Guercio.
Gerundo, senza attender altro segnale, lo issa oltre il pietral parapetto e come fastidiosa zavorra lo va andar a gustar l'acqua fria dello Bromida.
Lo Guercio urla "non sapo nuotar!" e i suoi sgherri lesti tendon corda come si tende mano a moribondo.
Gli uomini del Duca-Conte accorron per aiutar ma invece gettan in acqua anche loro.
Questo è troppo per li sgherri restanti.

Come uso nel Regno di Taglia, si passa alle mani.

Imponente rissa deflagra sullo ponte, con la procession di monaci attoniti e quasi tentati di assaggiar mazzate pure loro.
Senza l'abile capo però, la ghenga del Guercio presto capitola tra manrovesci e sagaci mosse speciali e vien pur derubata.

Superato l'ostacolo, la scorta ai Flagellanti prosegue fin alle porte di Roccamafalda, dove Padre Crispino ringrazia e benedice le canaglie, che proseguon verso l'imminente Novi Lugubre.
I cuori aumentati di santità.
Le tasche aumentate di monete.
...Le taglie aumentate per rissa impropria e sospetto affogamento.

mercoledì 9 ottobre 2024

CHI TROVA UN FALSARIO..TROVA UN TESORO (1)

CAPITOLO 1 - Una missione facile facile


Giorni di liete libagioni erano trascorsi dalla presa di Rocca Malpresa.
Le canaglie poltrivano ma lo Duca-Conte PierMatteo Barambani Ettore Cobram II fremeva per riparare e tirare a lucido la Rocca e soprattutto il covo nascosto nei sotterranei.
Voleva allestire laboratori di falsificazione, una forgia e la distilleria per rilanciare tutti i loschi traffici di una ghenga per bene, e per farlo aveva in mente una persona in particolare.
Ma la situazione della banda non era florida.

Pietro Pietri detto Pìlloro era stato inviato a cercare nuovi valenti Fratelli di Taglia ma s'era dato alla macchia, piuttosto che consumar lo matrimonio con la santa donna Comare Inese.
Ganassa era sparita. Si vociferava in fuga da un cacciatore di EquiTaglia.
Convocò Comare Inese e Pacioso al maniero, presentando loro due nuovi aspiranti membri della favolosa cricca di Roccasecca:
il Dott.Pio Magnaguai, un inquietante gobbo dagli strani poteri, e un uomo che era forse più tarchiato che alto, quasi nano, dal torace come un barile. Tale Gerundo, la cui parlata lasciava chiaramente capire l'origine galaverniana
Nonostante l'aspetto il Gerundo si diceva non solo esperto bottaio ma anche nell'arte di menare.

Quei due relitti umani erano gli unici due trovati dal Pìlloro nella sua missione.

Dopo lo sconcerto nell'apprender di tali nuovi Fratelli di Taglia, la banda ascoltò lo favellar del Duca-Conte e la noiosa spiegazione della nuova importante missione.
Dovevano ritrovare Ugo da Volturnia, espertissimo falsario e artigiano e progettista che avrebbe reso perfetto il loro covo.
L'uomo, già al soldo del Duca-Conte, era stato l'unico al corrente del suo piano di fingersi morto, ed era fuggito prima che la Rocca cadesse preda dei banditi.
Si sospettava avesse trovato asilo nel cupo borgo di Novi Lugubre, dove aveva un contatto: tal Bragallo Senzaterra.
Riportare il Volturniese era quindi imperativo per uno florido rifiorir dei traffici della banda.

Come ultimo avviso, il nobile(?) padrone chiese un piccolo lavoretto complementare: ritrovare o aver notizie dello Mostro di Roccasecca, la povera creatura deforme dallo scarso intelletto fuggita nell'assedio di riconquista del maniero. Per quanto scomodo era pur sempre un parente del ceppo dei Barambani-Cobram.

Le quattro canaglie approfittaron degli agi del maniero e gozzovigliarono (quasi solo il Gerundo, invero) a sbafo, e dopo una notte difficile per lo russar di naso e di deretano del grezzo bottaio, all'alba caricarono il prode mulo Juanin coi loro miseri averi e partirono per l'insidiosa Novi Lugubre.
Attraversarono i sobborghi di Roccasecca tra le occhiatacce e il mormorar del popolino che adocchiava la strana combriccola, soprattutto il gobbo, creatura temuta et disprezzata allo equal modo.
La strada fangosa si dipanava nei campi, in una tiepida giornata di fine estate, e i quattro discorrevano e dissertavano rinsaldando la loro conoscenza e fratellanza, anche fosse a suon di insulti e disprezzo.

La prima tappa era il Ponte della Masca, che oltrepassava corso d'acqua facente confine tra il feudo di Acque Marce e quello di Viavada e Novi Lugubre, e certamente avrebbe comportato dazi e fastidi. 
All'imbrunir ancora il ponte non si vedeva, ma la tenue luce di lanterne illuminava la facciata scrostata di una locanda.
La taverna "A un tiro di Sputo"
Lo stanco gruppo di viandanti mise Juanin nella stalla ed entrò per trovar ristoro e riparo.
Un duro contrattar portò ad una vantaggiosa cena, e la traccia era giusta perchè la cameriera ricordava che Ugo era trasito da li.

La libagione non era malaccio, e la compagnia neppure visto che un chiassoso gruppo di canaglie stava giocando a Minchiate, popolar gioco d'azzardo conosciuto e diffuso in tutte le sue varianti nel Regno di Taglia.
Anche due dei nostri si uniron ben presto alla tenzone.
Ma dove c'è azzardo c'è rischio.
E dove c'è rischio ci sono guai.
E Pacioso, barando a più non posso, vinse qualche mano senza destar sospetti, ma altrettanto non fece uno degli avversari, un barbuto butterato dall'alito di pollo marcio che fu sorpreso proprio dal Pacioso a sostituir le carte.
Volò il tavolo, come fosse tovaglia.
E volaron improperi a condir la rissa esplosa come bocconata di grappa spruzzata sullo foco.
Volaron brodaglie e ciotole, manrovesci e minacce.
Comare Inese brandì una cadrega come arma ancestrale, mentre Gerundo, per quanto basso era piantato a terra come robusta quercia e mulinava schiaffoni a destra e mancina.
Pacioso slacciò le brache ad un marrano facendolo incespicare, mentre il Dottor Pio sbucava da sotto uno tavolo a colpir lo stolto.
Quando con terrificanti bestemmie l'Oste, che prese a lanciar salami come temibili quadrelli, tentò di porre fine alla guerriglia, il baro e i suoi soci erano già a terra, uno persin defenestrato.

Come era uso in tutto il regno, gli sconfitti pagaron pure i danni, e il gruppo guadagnò un lor cimelio.
Niente di meglio che un po' di movimento per andar tra le braccia di morfeo e ripartir riposati e lividi il giorno dopo.
Al mattin ripartirono, non dopo aver preso altre informazioni sul Ponte su Novi Lugubre dall'Oste, incassando anche il suo benaugurio a San Culone.