giovedì 28 novembre 2024

CHI TROVA UN FALSARIO..TROVA UN TESORO (13)

CAPITOLO 13 - Matrimonio al primo assedio


Una volta c'era un prato verde, una dolce collina, dominata da una improvvisa cresta rocciosa alla cui sommità, come un nido, si ergeva inespugnabile Vignole Colera.
Ora quel prato era distesa calpestata e fangosa disseminata di tende, carri, metallo e legno: l'accampamento degli assedianti.
L'accampamento bellicoso del Barone Mavco Monico Dello Scalzone. 
Alberi eran stati abbattuti per trabocchi in costruzione, insieme a barricate e quant'altro.
Vignole, aspra, chiusa e blindata, osservava dall'alto della pietra.

Capiron che peggio non potea andar, visto che quell'infame, "facile" impresa li voleva proprio lassù, entro quelle mura abbarbicate, a recuperar il famigerato e capace volturniese.
Ah maledetta malasorte sempre di traverso!
Tra loro e la missione, c'era una guerra e un assedio.
Tra loro e la missione c'era quindi un mare di merda, sudor e sangue..financo anche mazzate e rischiar la pelle, mica due mascate in una locanda. 
La guerra è cosa seria.
Intercettati da severo drappello di soldati, inizialmente presi per spie, in virtù della presunta nobiltà riusciron infine a piegar la volontà militaresca a condurli dal Barone, sceso in capo in personam per guidar la pugna verso Vignole e l'odiato Barone Asbernio Colecisti.

Monico Dello Scalzone era uomo che sapea metter a disagio a prima vista col suo aspetto severo e incattivito. E una strana calvizie da nervoso che ne funestava metà del cranio.
Senza contar cicatrici a indicar la sua propensione all'azione in prima persona.
Spiegò che giunti per lo strategico maritamento, non eran stati fatti entrare con scuse ogni giorno più vacue et vaghe.
Era chiaro che non volean dar più Brigilda in sposa, o addirittura l'avea promessa ad altri?
Qual affronto?!
Chiamò a se lo sconsolato erede, presentandolo alla finta delegazione alaziale.
Prudenzio Dello Scalzone detto Bubbonio era inver brutto come la morte e sfigurato da orrenda rara malattia.
Pur non conoscendola, non si stupiron delle scelte di codesta tal Brigilda di Vignole Colera.

Il tentativo di dar in pasto Comare Inese, forse troppo lesto e improvvido, fallì.
L'ingenuo giovinotto ancor voleva Brigilda, e avrebber smontato Vignole pietra per pietra per averla.
O per aver vendetta.

Virarono allora sul chieder il permesso di presentarsi alle porte di Vignole come ambasciatori, e nonostante il Barone li ammonisse che sarebber stati trucidati e presi per spie già a metà della stretta salita, il piano prese forma.

Fuori dalla tenda, furon raggiunti da un soldato che, avendo capito che volean entrar tra le mura, rivelò che dal laghetto ai piedi della montagna c'era un passaggio che risaliva fino alle fogne e alle gallerie sotto il borgo.
Ma nessun di loro era così coraggioso d'affrontarlo visto che si diceva infestato da un confinato:
Il fantasma bizzoso di Manfrino De'Tre Checchi, un guiscardo incatenato e dimenticato in attesa di processo, che morì affogato la sotto durante un'alluvion ben forte anni e anni or sono.

Tra i vari modi di morire, dopo attenta ponderazione, il gruppo scelse però la via diretta alle mura.
Che di fantasmi, confinati o quel che l'è,  non c'era proprio bisogno in quel casino già abbastanza incasinato.

Pacioso e Inese restaron nella tenda, mentre la delegazione formata da Gerundo e il Dottor Pio, col fido mulo varcò le linee nemiche risalendo la ripidissima salita verso il portone di Vignole.
Gli elmi a punta dei soldati sulle mura fecer capolino ad osservar quell'inaspettata visione, mettendosi comodi come a pregustar uno spettacolo.
E lo spettacolo ci fu davvero, perchè il pover Juanin e lo stesso Gerundo sprofondaron di colpo in una fossa difensiva abilmente occultata e irta di lignei spuntoni ad accoglier la caduta.
Feriti ma vivi, i due provaron a risalire.
Il mulo ferito, in panico, scalciava tumefacendo il volto del Gerundo.
Dall'alto piovve qualche freccia e persin pitali di piscia stantia che investiron il Dottor Pio, intento ad aiutar i due caduti.
Poco mancò che reagisse usando qualche artificio arcagno, mandando a ramengo la diplomazia.
Superato l'ostacolo e l'imbarazzo, imperterriti avanzaron tra lo stupor dei difensori.
Arrivati a portata di voce, millantaron nobiltà e volontà a parlamentare, riuscendo a convincer un ufficiale ad ascoltarli.
Il portone era ben sbarrato e già preceduto da barricate e ostacoli, e non v'era la minima intenzione ad aprirlo.
Vennero così issati sulle mura con delle corde, come pesanti zavorre, e giunti sul torrione principale si trovaron innanzi al Barone Asbernio e alla gentil-consorte Brulba Finiscalchi in Colecisti.

Raccontaron la storiella della "nobile" Comare Inese, ora ostaggio nell'accampamento degli assedianti, che chiedeva di varcar la soglia di Vignole per farsi suora.
Mentre il Barona soppesava il lor favellare, si guardaron attorno dalle mura  che dominavan la valle:
una volta la in cima, era evidente che la disparità numerica tra gli schieramenti era notevole.
Dalla sua Vignole però era difficilmente espugnabile grazie alla posizione strategica.
Il nobile ammise che avrebbe posto ben volentier fin all'assedio consegnando la figlia, ma la scapestrata erede già da tempo recalcitrante era sparita e si era sottratta a quelle nozze.
Lasciandoli nel letame, e causando offesa forse presa fin troppo sul personale visto l'esercito alle porte.
Molte eran le voci tra il popolino, e forse una compagnia di guitti e saltimbanchi rimasta intrappolata in città, e con la quale la ragazza avea legato, ne sapevan di più.

All'accampamento intanto, l'offeso Juanin tornò ancor più lento e piegato, solo.
Pacioso e Comare Inese, che nell'attesa si erano intrattenuti con Bubbonio, blandendolo e cercando di migliorar l'aspetto con cure, trucco e parrucco, notaron il ciuco solitario recuperandolo e occupandosi delle ferite.
Cos'era accaduto ai compagni? Schiattati quan'è vero San Schiattato?

I compagni, Gerundo e il Dottor Pio, eran invece vivi e proposer al Barone di recuperar la figlia, chiedendo di poter scender in paese ad indagare.
Scortati da due guardie, percorsero le vie cittadine, dove la gente si preparava al peggio, sperando nel meglio.
E in un lungo piazzare fangoso, forse per scacciar i brutti pensieri, i più poveri, che in fondo avean ben poco da perder non avendo nulla, e tanto sapevan ben che cambiavan vessilli e bandiere, ma i deretani restavan sempre gli stessi, per distrarsi stavan scommettendo in un torneo grottesco chiamata Giostra dei Poveri.
Lercia parodia di veri tornei cavallereschi, qui il destrier era un uomo, spesso coperto di tovaglie o pezze, mentre lo cavalier sulle sue spalle indossava armature fatte di pentolame, assi di legno o quant'altro la fantasia e la necessità imponesse.
Una delle due guardie indicò tra la folla la compagnia di guitti di cui si era parlato.
Difficile non notarli, vista la razza: eran tutti malebranche, e qualcun di loro neppur si curava di coprir corna o code.
Era la Compagnia dei Poveri Diabuli.
Ed erano molto preoccupati, visto che era sparito il lor "cavallo" e a breve toccava a loro scender nella contesa, e probabilmente avean già piazzato cospicua scommessa in petecchioni.
V'era necessità di robusta cavalcatura.
La question fu subito colta dai nostri eroi che in cambio delle loro informazioni si prestaron alla giostra.
L'agile malebranche Nicandro cavalcò il solido Gerundo, contro una enorme donnona cavalcata da un acclamato campione il cui elmo era un secchio di legno capovolto, e l'armatura lo rendeva più un paglioso spaventapasseri che un paladino altomanno.
Il campione però sottovalutò l'improbabile duo, sottopagato dalle scommesse, e questo è errore da fare mai: spesso ne miete di più la sicumera e l'arroganza della peste stessa.
Le lunghe scope, impugnate come lance, colpirono quasi in contemporanea, fracassandosi.
La folla ululò.
Il campione assaggiò il terreno, pure Nicandro barcollò, Gerundo quasi si affossò dal rinculo, ma infin restaron sul campo.
Vincitori.

Incassato il dovuto e dileguandosi in fretta tra la folla prima di risse, ritorsioni o ricorsi al risultato, i Poveri Diabuli e le due canaglie si appartaron per onorar lo patto.
Il capo dei malebranche svelò che Brigilda era innamorata di un Capitan di Ventura, un omone a capo della banda mercenaria dei Balenghi Raminghi che risponde a al nome de Giobatta Bratto
Bene.
Cioè..male.
Ma era comunque prezioso elemento con cui tornar a parlamentar dal Barone.
E la bona sorte, per una volta, non finia lì, perchè quei manigoldi ricchi di pettegolezzi sapean anche di Ugo.
E qui però si ferma la bona sorte.
Perchè era lo volturniese era già in gattabuia...

CHI TROVA UN FALSARIO..TROVA UN TESORO (12)

CAPITOLO 12 - Sempre i poveri lo prendon nel... gulo

Un'irta stradina tra cespugli di grattaculo e more, deserta e ventosa, risaliva la sponda destra del fiume Schifia per confluire nella via maestra che correva lungo i due feudi principali di Serravalle Schifia (a sud) e Vignole Colera (a nord).

Non serviva un cacciatore di taglie per capir che quella strada era stata più calpestata della dignità umana.
L'erba spelacchiata che solitamente spunta impertinente in tal sentieri poco battuti era scomparsa. La sede della strada allargata da cotanto pedar di impronte pesanti. Homini in armature?
E pur recenti.
Una fiumana di gente, carri e vettovaglie dovea esser passata da li nelle ultime settimane, diretta a settentrion, e la question non era certo positiva.
Non procession religiosa questa volta, ma esercito in marcia, era l'idea.

Seguendo la via, dietro ad una collinetta scarsamente coltivata, all'imbrunir ecco spuntar remoto villaggio plebeo.
Tali insediamenti raramente son esempio di beltà o maestria architettonica, ma mentre coprivan la distanza e gli oculi si abituavan alla luce tramontante, capiron che vi era ben più di disordine o incuria: quel borgo era stato violentato. Depredato. Razziato.
Ed era anche sinistramente deserto.
Treccastagne era nomato tal villaggio, o ciò che ne restava.

Ma ecco un movimento, lesto, di piccola creatura tra le macerie legnose carbonizzate.
Lesti i quattro circondaron un tugurio in rovina ove la figura si era nascosta, ed eccola li, far capolino attirata da uno pezzo de torta: una piccola infante cenciosa e pien di fuliggine.
Stringeva a sè alcune rape come fosser il giocattol preferito.

Tranquillizzata e domata, la piccola, li condusse ad uno scantinato nascosto dove i resti di quell'umanità paesana si eran rifugiati.
Superstiti degli orrori di una guerra improvvisa e incomprensibile, che come sempre bastonava i reietti, gli sprovveduti e chi non avea vie di fuga.
Raccontaron che era passato in pompa magna il Barone di Serravalle Schifia, diretto a Vignole Colera per celebrar le nozze dei loro pupilli, uniti in una alleanza strategica tra i due feudi lungo fiume.
Come sempre accade, le truppe, battenti il vessillo della Quercia Rossa del Barone Mavco Monico Dello Scalzone avean allungato le mani, calato qualche braga, vessato e rubato qualcosa nel nome del militar sostentamento, ma era filato tutto liscio.
Qualcosa era successo poi alle porte di Vignole, una qualche offesa che avea richiamato altre truppe, forse perfin tutte quelle dell'intera Serravalle, e come monito e come dimostrazione eran tornati li, a Treccastagne, seminando devastazione e incendiando il tutto.
Poteva andar peggio?
Si
Perchè tal rimasuglio di umanità contadina si rifugiava li per la notte, se i militi eran ora lontani?
Perchè attirati dal lezzo della morte e distruzione, di notte arrivavan i guli. E si sa, che anche se magnavan cadaveri, anche li vivi non eran proprio disprezzati.
Che letamaio!
Mosse a pietà, o forse sol per convenienza, le canaglie spronaron i sopravvissuti a raggiunger Guado Schifia, sotto lor tutela e raccomandazione. 

Con le membra del fu Bragallo ancor in saccoccia poi, tornaron fuori sfidando la notte e crearon golosa esca per i guli, appendendola ben alta per tenerli occupati nella notte, un parafulmine per guli, o come meglio lo battezzaron sarcasticamente: un paragulo.
Lesti tornaron nel rifugio mentre quelle cadaveriche creature chittemmorte iniziavano a strisciare tra le rovine, in cerca di un pasto, e si accalcaron presso il paragulo.
Al sorgere del sole, anche se ostruito dall'aria brumosa dello vicino fiume, ritrovaron il mulo ancor integro, e il paragulo razziato.
I villici lasciaron tristi le lor case, diretti a Guado Schifia, mentre i coraggiosi uomini del Duca-Conte di Rocca Malpresa andaron verso nord.

Alla guerra.
Ma pria, dieder forma al piano abbozzato nato dalla mente gerundica del Gerundo.
Comare Inese, addobbata come 'na madonna, nel suo miglior vestimento e col mulo Juanin tirato a lucido come nobil destriero, si sarebbe spacciata per nobildonna alaziale.
A rafforzar il tutto, araldico documento contraffatto dal Dottor Pio, a dar conferma e patente di nobiltade.
Se il maritar del figlio del Barone di Serravalle era andato a monte, chissà di non riuscire a piazzar la zitella e sfruttar quei nobili.
Con nobili intenti, si intende...

giovedì 21 novembre 2024

CHI TROVA UN FALSARIO..TROVA UN TESORO (11)

CAPITOLO 11 - Sfida a Guado Schifia


La via maestra che portava a Vignole Colera passava dal dover attraversar il bizzoso fiume Schifia.
Ma prima c'era da recuperar il mulo Juanin nelle stalle fuori dalla Torre Grigia, e gabbar lo Straniero lasciandolo li.
Pacioso sfruttò il palantìro, che pur non funzionando, avrebbe mostrato quindi qualcosa che non sarebbe accaduto, e per contro allora avrebber fatto altro.
Nell'oscura sfera magica tarocca, vide lui stesso che andava a recuperar Juanin e veniva scoperto da straccion incuriosito nel veder mulo portato via da felino.
Meglio far altro.

Andaron allora Comare Inese e Gerundo.
L'uomo privò il mendicante della coscienza, con potente pugnone in testa
Inese privò la stalla della dolce presenza dell'anziano e testardo mulo.
Nessuno privò lo Straniero del piacer di una birra visto che non fu allertato da tal mossa.
Era stato fatto ratto del mulo, e si potea lasciar la tetra cittadina, ma si era ormai passato lo vespro e grazie alle sante conoscenze del Calendario trovaron asilo sicuro nel piccolo monastero di San Prostrato.
Dopo una lode all'umiltà e qualche soldo d'offerta, al mattin ripartiron  di buon'ora e di buona lena, seminando così Lo Straniero e il suo inquietante spadone.
E si spera pure EquiTaglia.

La via si rivelò tranquilla, quasi monotona vista l'andatura del mulo carico di ogni loro proprietà (a dire il vero ben magra).
Passato mezzodì giunsero in vista di ameno insediamento, di legno cinto, e di legno e paglia costruito.
Si trattava di Guado Schifia, insignificante e fangoso accrocchio di vita rurale e pescatora, che però permetteva di passar l'altra sponda dello Schifia tramite ingegnosa zattera guidata da funi, che facea da spola avanti e indrè.
Puntaron alla bettola presente innanzi all'imbarco, nomata guarda un po' con sforzo di intelletto "Bettola del Guado".

Parlando col rubicondo e svogliato oste, scopriron che negli anni la presa dei Malespine si era un po' allentata, e le guardie messe li si eran date alla macchia in cerca di gloria mercenaria oltre il fiume.
Qualcosa stava accadendo da quelle parti, e s'era vista più di una colonna di fumo.
Li al Guado invece, da qualche tempo, approfittando della mancanza delle Istituzioni e della Legge, una ghenga di malfattori si ergeva a custode e protettore della chiatta d'attraversamento, ovviamente con esose richieste di gabelle per il passaggio, e annessi malmenaggio e percosse dei recalcitranti e dei meno abbienti.

Il gruppo fiutò subito l'occasione di sgranchir le mani e far suo quello snodo e quegli incassi, e guidati da Gerundo si presentarono al tizio a guardia dell'imbarco chiedendo conto della situazione e di come funzionavan le faccende.
Non tardarono ad arrivare rinforzi e il capo in persona, e in un amen si passò dalla favella ai fatti.
La zuffa esplose violenta dilagando nella zona del guado tra le casse, le ceste e tutte le altre merci in attesa di varcare lo Schifia, non risparmiando neppur villici, contadini, maiali e anatre.
Ad ogni colpo menato, barile lanciato e bastone schiantato in una schiena, si rispondeva con equal conio, ma fu una sola fazione a prevalere, seppur conciata male, e i banditi restanti si piegarono così al volere e all'accordo dell'improbabile gruppo di eroi giunti da Novi Lugubre.
Avrebbero continuato ad esercitar l'esazione della tassa di passaggio ma ora per conto di Gerundo e soci, autonominatisi dopo qualche indecisione in "Compagnia dell'Oca Gerunda", ma a tariffe ridotte e più sostenibili, e il profitto sarebbe finito ovviamente nelle tasche di tal Compagnia, alla faccia del Duca-Conte che li aspettava a Rocca Malpresa.

Sistemata la situazione in quello sgangherato avamposto, era tempo di passar lo fiume e puntare a Vignole, per ritrovar finalmente, col volere delli Santi, il dannato Volturniese dalla propensione a finir in guai sempre più grossi.

CHI TROVA UN FALSARIO..TROVA UN TESORO (10)

CAPITOLO 10 - 47 Morto che parla

Procedevan nell'insidioso Bosco Morendo, cercando la via verso l'altipiano roccioso dove era uso cacciar lo Bavalischio, come novelli fungaioli sprovveduti e poco avvezzi all'inceder nelle selve ma più a proprio agio tra viuzze e bettole.
Nonostante ciò, risaliron la china fino ad una zona sopraelevata del bosco, piena di forre e gole scevre di vegetazione, atte a smarrir la via o tender imboscate.
Comare Inese individuò più di una traccia rivelatrice del passaggio degli incauti cacciatori, poi invocò qualche Santo per protegger il Gerundo dai veleni, in prevision dell'infausto scontro.
Scopriron pezzi dei cacciatori stessi, ormai fatti pietra o più opportuno dir lapide, mentre lapidari passavan oltre fino al grosso delle tracce che puntava ad un luogo preciso: una gola ove qualcun, armato di pala, stava scavando una fossa per semplice ed efficace trappola all'insidiosa e ferale fiera.
Compito interrotto ben presto dal tristo mietitore, a giudicar dai frammenti di homini pietrificati sparsi in giro, e dall'altezza della fossa di non più di due spanne.
Il gatto lupesco gattescamente si inerpicò su per un'irta prominenza rocciosa ove tra la pallida bruma scorse più avanti i resti di un torrion di guardia in rovina, possibile ricovero per la bestia.
Seguando le indicazion avanzaron fino ai piedi delle rovine.
Una scala consunta scavata nella pietra saliva fin alla circolar struttura diroccata, e quatto come una faina il Gerundo fece capolino fino all'arcata dell'ingresso, per notar l'orrenda bestia a sei zampe, poco pria acciambellata a riposar e che ora fiutava l'aere come un sommellier di carne umana, pria resa sasso e poi digerita e ritrasformata da poderosi succhi gastrico-salivari.

Nonostante le raccomandazioni della megera e di ogni buon manual di caccia alle fiere pericolose, che indicano di evitar scontri diretti e usar astuzie e tranelli, Gerundo caricò l'incredula bestia che incassò subito manrovesci come un discolo a fronte di manesco genitor.
Ben più cauti, i compagni dieder man forte da lontano, affacciandosi e ritraendosi dalla tana or diventata trappola.
Manco poco che l'uomo non venne pietrificato, e soltanto la resistenza a quella bava venefica lo salvò dal diventar nano da giardino magari nell'orto della stessa Squinternia.

Il Dottor Pio evocò terribili dardi d'energia che demonicamente non potean ceffar bersaglio, Comare Inese pregava li Santi di curar il monaco bottaio dai morsi del Bavalischio, Pacioso mandò avanti i suoi burattin guerrieri, che almeno eran di legno.

La bestia, a mal partito, zompò fuori dalla tana lanciando una fiatella nebbiosa anch'essa pericolosamente pietrificante, più per coprir la fuga con la coda tra le gambe che per attaccar briga, ma dall'alto la maledizione a San Schiattato evocata da Inese la brasò sul colpo, inerte massa di pelliccia, zampe e artigli che or cadeva tra le frasche.

Impresa era compiuta.
Senza testimoni se non li alberi, ma pur sempre impresa.

Razziaron anche la torre, trovando umile ma magico calice dedicato a San Ceresio, in grado di purificar i sidri in esso versati da veleni, malanni e cacarelle, nonchè a donar loro afror di luppolo.

La sinistra Squinternia fu contenta di ricever l'attesa selvaggina per la sua ricetta, e rispettò il patto.
Prima aiutò anche Pacioso con uno strano intruglio che facea ricrescer villo e pelo.
Poi li condusse nel cortile sovrastato da costole colossali, e tracciando strano cerchio vi fece adagiar la testa del pover Bragallo.
Salmodiò in neroparlare arcagna formula, e i quattro compreser solo "47 morto che parla", fino a che l'indecisa palpebra si schiuse a mostrar occhio vitreo e la mascella si smosse, pronta a parlare rivelando i segreti tanto attesi, sempre ne avesse avuto garbo e voglia.

Potevan far cinque domande, pria che lo pallido ricordo dell'anima del morto lasciasse tornasse de novo e definitivamente all'OltreTombola.
Finalmente scopriron così che quel gaglioffo dell'Ugo da Volturnia era ito verso altro lido, nell'abbarbicato borgo di Vignole Colera, temendo le ire di una stria che avea truffato al mercato.
Orribil sospetto balenò nelle loro menti, ma la quinta domanda fu incautamente posta proprio a curiosar sul fatto, e l'irata Squinternia diete di matto capendo che stavan cercando istessa personam!
Ingiunse lor di prender seco lo palantìro contraffatto e fece giurar che trovato l'Ugo, gliel'avesser schiantato nella noce del capocollo.

Soddisfatte delle concrete notizie sull'Ugo, e dell'abbondante banchetto a base di Bavalischio alla Cacciatora, le canaglie lasciaron sane e salve Bosco Morendo, rientrando in serata a Novi Lugubre.
Finalmente si cambiava aria.

venerdì 15 novembre 2024

CHI TROVA UN FALSARIO..TROVA UN TESORO (9)

CAPITOLO 9 - Trekking col morto


Esausti et malconci (e sazi) dallo scontro del pomeriggio con la polenta animata, una volta lasciato abbastanza terreno tra le lor malefatte e le mura di Novi Lugubre, le canaglie individuarono uno spiazzo tra gli alberi, a margine del sentiero verso il Bosco Morendo, e si accamparono a tirar lo fiato.
Ferrei turni di guardia furon organizzati, durante i quali Pacioso impedì a impertinenti formiche di far incetta dei cadaveri.
Il Dottor Pio, nel cuor della notte, si avvide che qualcosa si aggirava nella selva attorno al campo, e ferreamente avvisò poi il guardiano successivo: Gerundo.
L'ultimo turno fu di Gerundo, che un po' meno ferreo ne apprifittò per russar tra le frasche, dopo aver sistemato come grottesco guardiano l'emaciato vecchietto compagno di bara del Bragallo, a cui neppur si erano degnati di dar un nome.
Non fu lui a svegliar la compagnia al mattino, ma il sole che lottava per bucare la bruma nebbiosa e illuminar qualcosa.
Con disappunto scopriron la poca affidabilità del Gerundo, e anche che il cadavere era ancora più smunto, consumato, come fosse stato prosciugato d'ogni stilla di sangue.
Foionchi, senza dubbio alcuno.
Per fortuna accanitisi contro l'inerme defunto e non con i dormienti Fratelli di Taglia.

La marcia proseguì, ostica et difficultosa per le frasche e la vegetazion selvaggia, si che il pur forzuto Gerundo facea fatica nel portar la bara.
Poi gli alberi si fecer più radi e spelacchiati, il terreno più molle, muschioso e melmoso, digradando in paludoso panorama, corrotto dalla presenza della befana sicuramente.
Arrivaron presso un corso d'acqua verde e coperta di foglie, ramaglie, alghe, immobile, stagnante e insondabile.
Per fortuna v'era antico tronco caduto a guisa di ponte, ma il Dottor lo valutò oltre che insidiosamente scivoloso, anche marcescente e poco adatto a sopportar lo peso del Gerundo insieme alla bara piena.
Nel dubbio, l'uomo si accostò allo specchio di fanga e ivi fece cader la bara, per usarla come carontica imbarcazion verso l'ignota sponda.
Allo tonfo acqueo però fece risposta altro tonfo sciaguattante, più lontano, di una misteriosa creatura che, capiron presto, fu attirata dal movimento nella mota.
Lesto di spirito e d'iniziativa, Gerundo afferrò il macilento impiccato e lo gettò lontano.
In risposta, una orrenda Marroca, bestia vermiforme simile a verme bavoso e lumaca, dalla temibile bava acida, emerse ad avvinghiar la preda e consumarla.
Sgomenti e inermi, si fecer governar dalla fretta e preser ad attraversar il tronco-ponte a rischio di blisdar e ruzzolar nella sgradevole acqua.
"Quando si è nella bratta e nelle difficoltade, gli amici se dividono il peso"
Pensando a queste sagge parole, forse prendendole troppo alla lettera, Gerundo si improvvisò macellaio, e venuto meno il rispetto ai defunti fece a pezzi il Bragallo dispensando arti ai compagni.
"Separa l'arto e mettilo da parte" pensò.
Poi gettata la bara sanguinolenta ad attirar attenzione dell'enorme Marroca, alleggerito del fardello, anche lui prese la via dell'infido tronco.

Il felin Pacioso scapicollò troppo confidente nei suoi artigli e finì a bagno.
Ahi che disdetta! Proprio lui che portava la Testa, e senza Testa un morto come potea parlar?
I gatti aman poco l'acqua, e ancor meno quella marcia e infestata da marroche, e tal fu il salto su per l'aspra parete friabile che il gatto lupesco parve quasi rimbalzare.
Nonostante questo, non fu sufficiente per raggiunger il bordo e soltanto i compagni che gli teser una mano, anzi due mani, anzi le due intere braccia tese e mozzate del pover Bragallo Senzaterra, riuscirono a issarlo e a portar via i maroni da quella situazione.
Anche da morti a volte si era utili:
Un'ultima utile lezione del defunto lestofante.

Si allontanaron in fretta, a pezzi e con i pezzi del muto compagno di viaggio da interogare, tra le bestemmie del Gerundo che prendeva in rassegna l'intero Calendario e che si domandava come diavolacci capitava che le streghe finivan sempre per domiciliar in posti così di merda. 

Si addentraron in quella zona del bosco marcescente e inospitale, finchè il flebile sentiero, circondato ora di rovi e piante rinsecchite, si divise in mille direzioni, come un dedalo alienante.
Lo Gobbo fiutò la fandonia: era illusione.
Già non eran fenomeni nell'esplorar terre selvagge, figurarsi poi se stregate e disorientanti.
La sorte fu dalla loro quando si avvider di iscrizioni runiche in steli di pietra, che propagavan quella illusione.
Estinte le rune, il percorso restò merdoso ma almen più chiaro, e ancora e ancora si ripetè l'espediente fino a lasciar quell'ispido labirinto.

Giunser finalmente in radura alquanto singolare, con formazioni di pietra a ricordar costole gargantuesche, e una capanna fatta a teschio.
Due scheletri fecer sobbalzar il gruppo, quando muovendosi animati da empie energie, invitaron, a mo di novelli maggiordomi, i nuovi arrivati ad avvicinarsi all'uscio.
L'orrenda capanna teschio era buia e puzzolente.
Una vecchia megera, dalla pelle incartapecorita come i vecchi tomi su San Matuso, sedeva con le secche gambette incrociate tenendo in grembo una arcana sfera pulsante d'energia oscura.
Una mano alla fronte, pensosa, enunciò perchè eran venuti li, sfoggiando le incredibili doti divinatorie sue e dell'oggetto: era un palantìro dunque?
O non era granchè come divinatrice, o lo palantìro era una sòla perchè tra l'imbarazzo generale, fallì almeno due-tre volte nel suo tronfio enunciar i motivi della lor visita.

Scocciata, la potente strega gettò in un angolo il Palantìro maledicendo un non precisato "volturiese" che gliel'aveva appioppato. Irritata diede sfogo alla sua vocetta raschiante:
"beh, su, tagliam corto, perchè minchia siete qui dunque??"
Sperando che come strega fosse meglio che come indovina, spiegaron la necessità di far parlar lo morto
E si sa che di necessità bisogna far virtù, quindi accettaron le condizioni di Squinternia:
Avrebber cacciato un temuto Bavalischio, creatura pericolosissima, per procurar la carne atta alla sua ricetta succulenta, tratta da un vetusto e rovinato libro di cucina che la vegliarda esibì con maggior orgoglio che quello per il palantìro tarocco.
Per aiutarli in cotal impresa, diede loro alcune mestolate di una orrenda zuppa di occhi di rospo nero, che rinvigorì membra e menti, facendoli sentire come riposati e freschi.
La caccia cominciava...

CHI TROVA UN FALSARIO..TROVA UN TESORO (8)

CAPITOLO 8 - Una gran rottura di ca..ppio


La guardia della Contessina mostrò sollievo et sorpresa per l'impresa dei quattro improbabili eroi, e per quanto si trattasse pur sempre di un birro infame, onorò lo patto.
Era stato al Palatio de Justitia e scoperto sorte e locazione del Bragallo.
"ite! venite meco, e assai lesti e non indugiate oltre"
Procedettero con passo veloce lungo le vie di Novi Lugubre, seguendo lo birro che avanzava come chi ha ben chiara la destinazione.
Cominciarono a incontrare parecchia folla in direzione opposta et contraria.
Qual accadimento pubblico era appena avvenuto per aver attirato tal fiumana di plebe? Una festa? Uno comizio? Uno concerto di guitti e musici famosi?

Era ben peggio

Arrivarono in una piazza ormai vuota, al cui centro si ergeva un palco di legno.
Gli strumenti in effetti erano a corda, ma suonavano una melodia de morte et punizione: una fila di cappi ben allineati e due figure appese, che di certo non cantavano più.
Maestro dell'esibizione: quel bastardo di Acuto di Malespine sicuramente.
"Ecco, quello è lo Bragallo" Disse lo birro un po' imbarazzato, indicando una delle due figure penzolanti.
Insieme alla sera, sulla piazza scese gelo e costernazione, oltre che silenzio...ma era silenzio sol esteriore, perchè di certo alte imprecazioni allo Padre Terno si stavano alzando nelle menti dei quattro al realizzar che l'unica canaglia che gli avrebbe fatto trovare Ugo da Volturnia era leggermente impossibilitata a fiatar altre parole.
Bragallo Senzaterra, farabutto, truffatore, contrabbandiere e quant'altro, nonchè amico di Ugo da Volturnia, avea smesso di calcar questa terra.
Era giunto alla resa dei conti con la supposta giustizia e con la grama esistenza che chiede il conto prima o poi, anche se è meglio poi.
Senzaterra..e ora senza fiato e vita. La terra l'avrebbe incontrata poi, previa esposizione a corvi e intemperie.

Qualcuno ruppe il silenzio.
Era lo Straniero, che sussurrò che in fin dei conti, esistevano modi anche di far parlare un trapassato, perfino remoto.
Comare Inese, confermò.
C'erano miracoli tra i prelati che potevano realizzar questo inquietante compito.

La santa donna tornò alla Chiesa di San Mordente e chiese dove si trovasse la più vicina cappella di San Schiattato, i cui fedeli sapeva erano i più esperti e adatti a certi compiti.

In piazza intanto, gli altri tennero d'occhio il patibolo per notare se eventuali complici o amici del Bragallo si manifestassero, anche se vista la sua fine, sarebber stati assai stolti a farlo.
Uno strano tizio calvo sfidò in effetti le guardie alla base del palco per avvicinarsi al povero corpo dondolante, ma non per costernazione o preghiera.
L'uomo, vittima di una qualche fregatura, sputò e insultò il defunto per poi allontanarsi.
Rapaci lo raggiunsero per cercare di stillare ogni informazione e motivazione potesse esser utile alla lor impresa, di come era stato truffato e dove avea conosciuto gente di tal risma.

Inese tornò e li condusse alla Chiesa della Malamorte, ove conobbero Padre Smunto.
Era uno giovine prelato magro come un chiodo e più vicino alla fossa che alla vita, ogni fiato parea l'ultimo ad esser esalato mentre parlò con loro.
Purtroppo non era abbastanza potente per realizzar il miracolo richiesto, ma confidò che non necessariamente era un miracolo legato allo Padre Terno, e suggerì che potevano esserci altri modi per farlo, e conosceva una creatura in grado di farlo, anche se a caro prezzo: una potente strega locale, Squinternia.
Il Dottor Pio ghignò.
La stria si trovava nell'adiacente Bosco Morendo e di certo avrebbe richiesto uno subdolo pegno.
Per nulla scoraggiate, le canaglie si trovarono a discutere di una questione più materiale: come sottrarre il defunto, e come girare con un morto uscendo dalle mura per giunger fino a Bosco?
Potevano attender sepoltura e far ratto dello morto in una notte buia, ma per quanto sarebbe stato appeso l'appeso, come monito ad altri malfattori?
No. Avean impellente bisogno di levarlo da li.
Forse bastava financo solo il cranio, che in fondo per favellar si favellava dalla testa, ma parea atto dissacrante e sgradevole far mattanza in quel modo.
Poi una nuova idea: la sapienza del Dottor Pio produsse uno documento attestante il pericolo di appestamento e malattia, e grazie al timbro della chiesa di San Schiattato rese il tutto più credibile.

Tornaron nella Piazza delle Esecuzioni trascinando una sgangherata e umile bara, per riempirla con le lor speranze di ottener risultati.
Le guardie, che invero non sapean leggere, osservaron lo decreto con finto sguardo indagatore per poi lasciar campo libero ai quattro cialtroni, ma ingiunsero, visto lo periglio di peste, di portar via anche l'altro appeso.
Almeno a far di conto era capaci. E un più un facea due.
Con gran sforzo fecero star li due corpi in una bara, e nonostante la tarda ora deciser di lasciar immantinente la città.
Lo Straniero non voleva saperne di streghe e disse che sarebbe restato li, ad indagar nei quartieracci, secondo le informazioni scucite prima in piazza dallo sputatore.

Era la nona campana della sera quando lo strano macabro gruppo, trascinando la bara, giunse alle porte nord della città, chiuse da poco.
Le guardie, annoiate ma sospettose e poco avvezze a farsi perculare, nonostante le scuse accampate dai quattro,temevan fosse astuto contrabbando e imposer di aprir lo contenuto.
Fu impresa penosa che rivelò, almeno per una volta, la verità: due sventurati chiusi in quel cappotto di legno di dubbia qualità e fattura.
Questo bastò agli schifati guardiani per dischiuder loro lo portone verso la libertà e le campagne, nella notte ignota dei feudi Falcamontesi.
Prossima tappa Bosco Morendo e la terribile misteriosa stria Squinternia




mercoledì 6 novembre 2024

CHI TROVA UN FALSARIO..TROVA UN TESORO (7)

CAPITOLO 7 - Lotta ai trigliceridi


Per ritrovar la Contessina o le sue guardie, era meglio non portar le terga di nuovo al Mercato.
Li, con tutta probabilità, erano in agguato spie o agenti.
Quella Santa Donna di Comare Inese, però, oltre a conoscer una cifra di Santi, conosceva le Chiese.
Decisero di puntar alla Chiesa di San Mordente, patrono dei rassegnati, dei vessati e perfin dei dentisti, vicina al Palazzo Nobiliare del Conte e un vecchio prelato rantegoso ammise, non dopo modesta reticenza, di poter contattar la pulzella.
Dovuta la necessaria offerta di pecunia all'ecclesial aiuto, Inese riferì le novelle agli altri.

Tornaron allo meriggio, ma non giunse Lorda Virginea Di Malespine.
Giunse invece una figura cenciosa, ma sotto lacero mantellone rivelossi uno birro.
Uno della guardia della Contessina.
Disse che la giovine era ora in punizione, e pure i suoi birri personali squalificati a mansioni tediose o pericolose che proprio avrebber evitato, perciò di riferire a lui.

Qualcosa si illuminò nella capa del Pacioso, e il glabro gatto rosaceo si propose di risolver uno dei compiti delle guardie, e in cambio loro avrebber poi aiutato con le faccende di legge e galera riguardanti Bragallo.
Lo birro parve assai sollevato e ansioso di accettare.
E questo forse non era un bene.
Cosa mai dovevano fare al posto di quei soldati?
L'homo spiegò che gli avean ordinato di andare nel quartiere dei sapori ad eliminar una pericolosa minaccia vagante, un abominio, un alimentale evocato chissà come, ma che tenevan famiglia e col cappio che volevano immischiarsi in cose magiche e stregonesche.
Che ci pensassero dunque le canaglie.
Il periglio non era il lor mestiere?

Riferito questo ai compagni, la preser ben in diverso modo che le guardie.
Lo Gerundo poi fu entusiasta: nella colesterolica mente del bottaio, dilaniar un Alimentale di Polenta vicino al forno chiamato Lo Sfilatino Speciale non era affatto un periglio, ma una grande abbuffata.

I baldi eroi, ancor incosapevoli dell'orrore, marciarono verso il negozio del fornaio, ma pria facendo tappe da vari venditor per armarsi di lungo rimestoni da polenta in legno massello, e Gerundo pur di una grossa toma de vacca in guisa di scudo.

Villici in panico correan nella direzione opposta alla loro, e capiron che la via era retta e justa.
Altri popolani più curiosi e incoscenti stavan fuori dal forno, e il fornaio, un homo butterato e dal culo basso, disperato venne loro innanzi
"L'alimentale! me sfonda 'a bottega!"

Un buon profumo proveniva dalla porta semiaperta dello Sfilatino Speciale.
Fecer capolino sbirciando.
Pagnotte e michette, sacchi di farina, cereali e torte sparpagliati tra gli scaffali mal ridotti, come una furia creudele fosse passata mietendo danni.

Nella stanza a fianco, col grosso forno ben caldo, si ergeva un ammasso enorme di polenta taragna. Pugnali e armi improvvisate conficcate in essa come spuntoni di istrice, salsicce e sughi vari trasudavan, insieme a membra di qualche sventurato inglobato nel caldo e bramato alimento.
Il coperchio dell'immondo paiolo che l'avea partorita ancora in testa a mo' di elmo.
Gorgheggi e un ribollir "Blh.BL..Bl..Blhg" era sua unica lingua, anche se un basso ripeter "Taragna" avrebber giurato d'udir quando colpiva.

Ciò che per alcuni era orrore inspiegabile, per altri era acquolina in bocca.
Gerundo alzò lo scudo formaggioso per attaccarlo riparandosi dal calor, mentre Comare Inese rendeva santo il suo rimestone, colpendo quella che immagivava fosse il teston della creatura.
Ahi!
Ustionante sorpresa colse le fauci del bottaio quando morse a ripetizione l'animato banchetto.
E pur Inese avvertì 'l brucior colpendolo appresso.
Pacioso usò i suoi burattini per restar a distanza, cnn e le freddure e i colpi di scudo del suo Romualdo freddaron la massa pulsante, perfin da rallentarla.
Rallentamento determinante a farla corcare di altre mozzicate e mazzate, che però costavan care e ustionavan gli attaccanti, tra santi e bestemmie.

Lo Dottor Pio invece, cauto o forse meno affamato, restava a distanza colpendo con dardi magici infallibili, prodigio di stregoneria su cui poi i suoi compagni avrebber dovuto rifletter.
Dottore? Ma dottore de che?? Un gobbo è inquietante, ma un gobbo che usa il neroparlare e le male parole attingendo poteri oscuri chissà da chi, chissà da dove, o chissà da qual dimonio, è pur peggio.

Stremati di energie, ustionati, ma di sicuro almeno sazi, i Fratelli di Taglia continuavan senza tregua a incalzar l'enorma massa ustorea e saporita, che a volte si gettava loro avanti travolgendo, inglobando, soffocando.
Il burattino Romualdo finì in pezzi.
Pacioso guaì.
Gerundo allo stremo.
La toma ormai sciolta.
Anche lo gobbo, travolto, era paonazzo e respirava a fatica.
Si rischiava di tirare il gambin in quello scontro.
Ancora un morso...
E finalmente cadde.
Poltiglia ora immota e immobile.
Ma stanchezza e ferite gravi ancora non avean reso paghi i quattro, che fecer rumori e continuaron un finto immaginario combattimento, sbraitando per tener lontani villici curiosi e nel frattempo infrattarsi filoni, rosette, spezie pregiate e pur i risparmi del povero fornaio.
E poi usciron.
Malconci, infarinati e unti.
Ma eroi.
Acclamati dalla calca delle povere genti locali, incredule di tal coraggio o incoscienza.
Della nuova taglia per saccheggio, ancor nessun si preoccupava, neppure il fornaio che per il momento vedeva in loro Santi Vendicatori mandati dal Padre Terno.

CHI TROVA UN FALSARIO..TROVA UN TESORO (6)

CAPITOLO 6 - Infamate e come sfuggirne


Come 'na mano scaramantica che se stringe alli testicoli, EquiTaglia si stringeva allo spoglio lugubre edificio.
Le esortazioni da fuori, urlate dal colui che era a capo, erano a ceder lo passo e uscir a meritar penitenzia et manette. Ma di queste si fecer beffe.
Le esortazioni invece dello Straniero furon prese ben seriamente quando guardando tra le fessure delle assi rabberciate che bloccavan le finestre vider che la masnada di Agenti e Cacciatori di EquiTaglia insieme ai loro sgherri snudava ferri, arnesi, torce e balestre chiudendoli in una morsa.

Gerundo caricò la porticina sul retro ma dietro di essa eran appilate pesanti casse, che tosto risposer scricchiolando ma tenacemente resistendo.
Evitando di perder altro tempo a forzar lo passaggio, preser le scale lesti come scoiattoli e corser fino a sfondar le finestre che davan sulla copertura del magazzino.

Ah! Infingardo tegolame fece loro brutti scherzi, umido e scivoloso di muschio, incrostrato dal tempo e mal messo, quel tetto con la pioggia recente e il nebbiume imminente era assai instabile.
Pacioso, troppo confidente, scivolò fin quasi a volar di sotto, ma gattescamente saltò di nuovo su, come in groppa a bizzoso destriero, verso la fuga.
Il Dottor Pio (ma dottore poi di cosa? qualcun cominciava a chiedersi) usò l'arte arcagna per attuttir lo volo nel selciato, una volta che spiccaron atletico salto dal tetto.
Nel mentre tra le tegole piovevano quadrelli, che le balestre mica scherzavano.
Due sgherri arrivaron da vie laterali, ma il gruppo evitò la pugna e partì come se un doman non ci fosse, dritti per dritti nel vicolame cittadino della sera.

Lo Straniero favellò di ritrovarsi tutti alla Bettola della Torre Grigia, poi tirandosi prodescamente dietro due inseguitori, sparì in stradina laterale.
Di tanto in tanto qualche quadrello ancor pioveva, come imprecazion nel silenzio, a rischiar che le loro interiora diventassero esteriora lordando lo selciato (già lordo, invero).
Giunti in vicolo tranquillo, il lor calpestare il terreno adirò cagnaccio randagio che vide Pacioso, e si sa che cani e gatti non van d'accordo.
Il gatto lupesco prese sottogamba l'insidia, pensò di schivar lo proiettile cagnesco con grazia felina ma invece fu impattato e ruzzolaron con grugniti animaleschi, e ora Pacioso, superato dalli compagni, era in coda al gruppo, e alla masnada di insidiosi inseguitori si unì pur il bastardo quadrupede.


"Dividemose!" urlò qualcuno. E parve a tutti saggio consiglio, così da disorientar li nemici.
Comare Inese svoltò a sinistra, lo gobbo Dottor Pio a destra, e Pacioso non capì una funcia e proseguì appresso al Gerundo con lo sbavante cagnaccio ai calcagni.
Grazie ai suoi artigli svoltò slittando come novello driftatore in un vicolo scivoloso, e lo cane blisdò su quelle lucide pietre umide che ne avevano visti tanti di calcagni, schiantandosi e guaendo sconfitto.

Comare Inese, in fondo a stretto vicolo vide la luce di una piazzetta, quasi luce divina, poi notò assembramento di tristi popolani costernati, capì... e sorrise.
L'avevan seguita in due marrani, ma quando giunsero in piazza, vider funereo corteo di un plebeo funerale.
Poveracci e gente del volgo stretti in processione dietro una bara rabberciata e malfatta.
Donne con veli, grembiuli e cuffiette, quasi tutte uguali ai lor occhi. 
E Inese li in mezzo quatta quatta.
Poi vedova incosolabile si azzeccò piangendo, con lamenti struggenti ad un dei due che cautamente si era avvicinato a fugar sospetto, e il dolore e lo struggimento parean ben più grandi del sentir i manrovesci dello sgherro per liberarsene.
I due alla fine spariron lesti imprecando diversi Santi e pur li mortacci del funerale.
Il Dottor Pio aveva un sol marrano sulle sue tracce, e pensava di farla franca, ma la distanza tra lui e l'inseguitor si abbreviò quando incrociò carretto di vasellame e provando a scivolarvi sotto incocciò invece con la gobba sull'asse traverso.
Lo gran colpo fece bestemmiar l'infoiato carrettiere e volar cocci di vasellame in ogni loco.
Dottor Pio Magnaguai, a corto de fiato ma non de idee, vide che l'inseguitor giungeva ormai appresso ben vicino.
Lo gobbo forse non portava fortuna, ma neppur era da essa favorito perchè da una via opposta incrociò per giunta altri agenti di Equitaglia
Girò su per delle scalette e giunto ad un incrocio notò un rudere in cui tuffarsi.
Le arti arcagne, la cui provenienza è meglio tacere, lo aiutaron a mutar forma e sbucò da la dietro in guisa di Agente.
Incrociò gli altri, ignari, che di nulla si accorsero e venner da lui depistati in altri lidi, mentre ghignando lui andava altrove.

Ben tre cacciatori eran dietro il grasso bottaio e il gatto lupesco, che zigzagavano nelle stradine bagnate e sempre più buie.
Procaci poppe bocciute esposte in balconato vestito sbarraron la via: due meretrici navigate che avean più anni che esperienza, e più bruttezza che igiene, forse non capendo il loro impellente problema, tentaron di adescar lo trafelato duo.
Gerundo non abbozzò di rallentare, prese le due sotto le ascelle, come un Frangese porta una baguetta, e caricò all'interno dell'uscio del lor postribolo.
"Sbarra la porta, Pacioso!"
Denudate le due, i due improbabili fuggitivi si vestiron da troioni coi loro abiti e si buttaron sotto pulciose lenzuola.
Potenti colpi detonaron su sgangherato uscio della casa chiusa ora aperta.
Una delle due aprì.
Mentre uno restava fuori, altri due sgherri indagarono a fiutar la preda.
Capita la situazione, una delle due baldracche li depistò dicendo che i corridori avean preso finestra come novelli saltatori, ma lo sguardo dello sgherro andò alla massa sotto le pezze pezzenti.
Ciò che vide lo lasciò sgomento e lo Padre Terno mi fulminerebbe financo a scriverlo.
Pallido e indignato, proseguì inseguimento dalla finestra, verso l'ignoto.



La prima a giungere alla Bettola della Torre Grigia fu Comare Inese, grazie alle indicazion de lo prete funeraleo.
Davvero brutto era quel quartiere, sicuro rifugio per feccia di vario tipo, e non da meno era quella locanda, ricavata da una imponente torre abbandonata.
Entrò nella sala, dalla caratteristica pianta rotonda.
La sala era semivuota.
Un vecchiardo scatarrava su una zuppa in un angolo vicino al camino, un oste sfregiato sputava su un boccale per mondarlo meglio, e una marionetta vivente nomata Cicchetto, orrenda parodia di un oste con le gote arrossate, sbucò dalle cucine per servir la Santa Donna.
La voce dello Straniero, dal pian superiore che si affacciava sulla sala, la salvò dalle sue attenzioni.

Come nidiata di anatroccoli separati dal materno amore, tutti gli altri membri dell'affaticato gruppo si ritrovaron uno dopo l'altro nella bettola, riunendosi e decantando le lor argute strategie di fuga.
Lo straniero si presentò come Raniero Scaverzi, dicendo che Ugo gli aveva salvato la vita coi suoi intrugli quando era rimasto ustionato, e che ora volea aiutar per saldar lo debito.
"Socmel! Stai dicendo che sei riuscito a telare da EquiTaglia e a ciulartene pure due mentre scappavi? mo da oggi sei il mio nuovo idolo!" Esclamò sorpreso quando giunse il momento del racconto di Gerundo.

Ma non era il momento di baldoriare.
Eran stati fregati e sospettavan che prima di loro il povero Bragallo avea fatto l'istessa fine, magari proprio nella istessa vineria.
E aver novelle di lui significava ora sporcarsi le mani coi birri.
Qual strategia attuare?

Il losco oste, tal Francisbaldo, offrì loro a caro prezzo una mappa dello Palatio de Justitia, loco dove si esercitava l'insindacabile legge del Contado di Malespine, ove azzeccagarbugli, fanatici ultralegali, EquiTaglia, aspiranti eruditi, studenti e birri erano a casa come mosche su boazze di mucca, e ove i detenuti venivan appunto detenuti, in attesa di pronunzia e sentenzia.
La dentro di sicur v'eran novelle sul catturato.

Pacioso però fece notar che altra strada, magara anche men rischiosa, era attuabile: lui avea aiutato la Contessina, e il pugno di Birri a lei fedeli era in debito, e se non in debito perlomen lo conosceva e chissà, si fidava.
Forse era più sicuro rivolgersi a lei che a infilarsi in quel ginepraio di guardie e giudici, in quel Palazzo tanto abietto.
Nel dubbio la mappa fu comprata ma per pria cosa avrebber seguitato con l'idea del gatto, sperando non diventasse un piano alla membro di segugio.
Le spesse pareti della torre-locanda permisero loro di riposar tranquilli dal russar del Gerundo, mentre Raniero tornò dalla Locanda della Laida Baffona, ormai infrequentabile visto il guaio con EquiTaglia, riportando il povero mulo Juanin.
Erano pronti per un'altra nebbiosa giornata a Novi Lugubre.